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CdS: Giancana, l’autista di Al Capone che volle farsi boss

Ultimo Aggiornamento: 29/11/2003 22:37
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29/11/2003 22:37

29/11/2003
Corriere della Sera/CulturaITALIANI

Giancana, l’autista di Al Capone che volle farsi boss

di GEMINELLO ALVI

Quando nacque, quel 24 maggio del 1908, i vagiti di Salvatore Giancana si confusero ai tetri rumori che opprimevano Patch, il più squallido suburbio di Chicago. Suo padre, un miserrimo fruttivendolo, dopo qualche giorno lo guardò più che scettico e si disse ancora in siciliano che aveva un altro inutile pensiero. La madre riprese a sfiancarsi nell'unta cucina e il cielo restò tutto grigio. Soltanto lei sentì vera gioia per l'infausto neonato: la sua sorellina, che se lo rigirava beata tra le braccia, proprio come in Sicilia avrebbe calma giocato lunare e buona con un pupo di latta di quelli dei teatrini. Le bambine hanno l’intelligenza quasi sempre più pronta e pura dei maschi. Ma come poteva la piccola proteggere il fratellino dal padre, dopo dieci anni ormai furioso perché lì la miseria era senza sole e intanto gli era pure morta la moglie? E di tutto gli pareva colpevole Salvatore, picchiato a cinghiate come nemmeno un cane. Pedagogia perfetta perché nel 1918 il bambino fosse espulso da scuola e finisse in riformatorio dove subito apparve non riformabile. Trascorse l'adolescenza in strada, sbrigativo evolvendo a capo di gang infantili, col viso tumefatto e storto. Il meglio del Sud Italia è la luna, quella dei greci che si riflette la notte sulle onde e la schiuma evanescente. Se i caratteri vi s'affidassero, sarebbero plasmati da una mitezza stravagante, che calma gli sguardi e rende inattenti. E invece prevale in quel sangue talora un sole maligno, che emana vanità caotica ed eccitabile permalosità omicida. Oltre oceano la vita aveva del resto per esito la venalità e per legge severità bibliche: i lieviti ideali perché la malignità d'alcuni s'incattivisse ancora di più.
Negli Stati Uniti Salvatore Giancana era fatto per farsi l'abito difficile a mutarsi: una grande carriera da uomo di rispetto. E si compiaceva appunto di essere sempre riverito con ogni attento riguardo dagli amici, ma soprattutto dalle vittime. Il proibizionismo gli giovò: Diamond Joe Esposito e gli sgherri di Torrio l'arruolarono. Anche lui distribuì gli invii di alcool canadese nel suo settore, corrompendo poliziotti irlandesi.
Quando poi Al Capone prese il posto di Torrio, Giancana si ritrovò promosso suo autista; sparirono Diamond Joe e i suoi colleghi. Si sentì sentimentale, ritornò dal padre, ordinò abiti immutabili, e viaggiò in concave automobili colorate d'ocra.
Nel 1929, il giorno di San Valentino, vennero sterminati i rivali di Al Capone, tra quelli che spararono travestiti da poliziotto molti pretesero ci fosse pure Salvatore. Ma tra un carcere e l'altro lui maritò Angelina, nasuta giovane del quartiere da sempre adusa a non chiedere. E si mise in proprio: whiskey contraffatto, sindacati, jukeboxes, narcotici, lotto. Aveva ormai guadagnato il dovuto rispetto. Ma era nel 1942 appena uscito di prigione quando gli arrivò la cartolina del militare: reagì alle domande della commissione con la innata consueta feroce estroversione.
Fu scartato per inadeguatezza al vivere in società. Nel 1946, grazie ad Accardo, si ritrovò viceboss in una delle più potenti sezioni di Cosa Nostra degli Usa. Fece affari con Fulgencio Batista, prostitute e cliniche compiacenti; si deliziò d'essere anche qualcuno nel sindacato degli artisti.
Nel 1955 toccò anche a lui divenuto boss di Chicago ricevere le visite di insospettabili ricchi. Lyndon Johnson, in gara per la candidatura alla presidenza con John Fitzgerald Kennedy, gli rimproverò d'essere un playboy presuntuoso e d'avere un padre arricchitosi in loschi affari. Tuttavia John e il fratello erano membri della Commissione che indagava sulla mafia nei sindacati.
Difficile dire, come poi pretesero alcuni biografi, se e quanto i commerci di Giancana si estesero anche alla grande politica. Comunque sia J. F. Kennedy vinse per pochi voti; servirono i sindacati e fu decisivo il voto dell'Illinois. E la mafia ebbe una parte nel carreggiare le armi degli esuli cubani d'intesa con la Cia per lo sfortunato sbarco a Cuba.
Ma per dire con certezza non bastano le interviste a Vanity Fair delle amanti del presidente. Cert'è che a Giancana non piacque proprio il 12 luglio 1961 di ritrovarsi nell'atrio dell'aeroporto di Chicago con la borsetta e un cappellino da donna tra le mani. Ne fu anzi molto irritato: due agenti della FBI avevano appena portato via per interrogarla la sua amante Phyllis, delle McGuire Sisters.
Nel 1966 s'esiliò in Messico. Ma nel 1975 gli venne imposto di presentarsi a Washington per testimoniare davanti a una commissione del Senato. Il 19 giugno se ne stava cucinando pasta e sarde, quando un sicario gli puntò una calibro ventidue dietro la testa e sparò. Siccome era accurato, per essere sicuro che fosse morto, gli sparò altre diverse volte. Esito peraltro molto prevedibile di una simile vita.
E però biografia ideale del più estroverso tra i tanti direttori di quella che fu la più efficace, anche se efferata, multinazionale purtroppo italiana. Plasmata da un sole maligno, natura che ossessiva inchina al male tagliente, e per la quale «viene a farsi l'abito poi difficile a mutarsi». Ariosto, Orlando Furioso, 36,1.
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