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Vorrei segnalare questo articolo sull'anno 1964, apparso ieri (il 4 di gennaio) sul CdS, a firma di Ennio Caretto:

domenica, 4 gennaio, 2004
POLITICA ESTERA
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Usa-Urss: e venne il tempo del Grande Freddo

I dilemmi dell' America di Johnson di fronte alla fine di Kruscev e al tramonto della distensione ESCALATION Dopo il Tonchino ormai divampava la guerra in Vietnam DISARMO La Casa Bianca continuò a puntare sulla trattativa
Dagli archivi della Cia i retroscena del golpe che nel 1964 condusse al potere Breznev: gli Stati Uniti non compresero la svolta storica in atto
Caretto Ennio

Il 4 settembre 1964 il presidente Lyndon Johnson riceve l' ambasciatore sovietico Anatoli Dobrinin nello studio ovale della Casa Bianca. Johnson è preoccupato. Mancano due mesi alle elezioni presidenziali americane, dopo la scontro navale nel Golfo del Tonchino divampa la guerra del Vietnam, in Italia è appena finito l' incubo del golpe militare e la Cia ammonisce che al Cremlino la posizione di Nikita Kruscev, con cui gli Usa hanno «un rapporto di lavoro decente», sì è indebolita. Ma, sorprendentemente, Dobrinin fa del suo meglio per dissipare l' apprensione dell' ospite. «Kruscev - dice - è in eccellenti condizioni. Mi chiede di comunicarle che non interferirà nella campagna elettorale, anzi voterà per lei, per così dire». Aggiunge: «L' incidente del Golfo del Tonchino è una macchia sulla politica estera americana, ma si rende conto che in vista delle elezioni certe cose capitano». Johnson non è certo del significato del messaggio. «Voterà per me?». «Sì, per così dire», ripete Dobrinin. «Vi fa i migliori auguri. Desidera sapere se l' attività diplomatica riprenderà alla sua rielezione o il prossimo gennaio». Il presidente ringrazia: il Cremlino auspica la sconfitta del suo avversario repubblicano Barry Goldwater (padre dei neo conservatori che oggi controllano l' amministrazione Bush); e da mesi Kruscev, che ha anche programmato un viaggio a Bonn sebbene il Politburo sia contrario, preme per un vertice a Mosca. Johnson non può sapere che di lì a cinque settimane, il 13 ottobre 1964, Kruscev verrà deposto, un evento che traumatizzerà il mondo; che la sua strategia delle riforme sarà abbandonata; e che la distensione dovrà attendere un decennio perché nel 1968 l' Urss invaderà la Cecoslovacchia. Ma, a quarant' anni di distanza, alcuni documenti pubblicati dalla Cia, oltre ad altri precedenti del Dipartimento di stato, dimostrano che la Casa Bianca avrebbe capito che l' era Kruscev stava volgendo al termine, se avesse prestato maggiore attenzione ai giochi di potere al Cremlino. Dal febbraio del ' 64, tre mesi dopo l' assassinio del presidente Kennedy a Dallas, i servizi segreti americani lanciano periodici allarmi. Il primo è uno dei più circostanziati. «Kruscev è stato criticato a una riunione del Presidium del Comitato centrale del Partito comunista», riferisce il dispaccio. «Irritato dalle critiche, Kruscev ha offerto le dimissioni. Gli è stato subito assicurato che non erano necessarie, ma i membri del Presidium l' hanno sollecitato a rispettare lo spirito della leadership collettiva e a rimediare ai problemi irrisolti, in primo luogo la sua tendenza a prendere decisioni senza prima consultarsi coi colleghi». Il dispaccio osserva che il leader sovietico «non ha abbandonato la sua via indipendente», ma non trae la conclusione che sia in pericolo. I documenti della Cia e del Dipartimento di stato indicano anche che, dopo l' assassinio di Kennedy e le gravi crisi precedenti, Berlino nel ' 61 e Cuba nel ' 62, Kruscev è passato dal confronto al dialogo con gli Usa. Fino dal 13 gennaio 1964 invita infatti Johnson a Mosca, una mossa che se realizzata segnerebbe una svolta storica. Ma la Casa Bianca è sospettosa: nelle parole di George Bundy, il consigliere della sicurezza, «Kruscev non accetta ancora il principio della pacifica coesistenza ideologica». La Casa Bianca avverte altresì che l' Urss è in serie difficoltà economiche - «Ha riserve di 2 miliardi di dollari, e questo anno dovrà spenderne metà in cereali» precisa Bundy - ma non intende aiutarla, un rifiuto che si ritorcerà contro il suo interlocutore. La Cia preferirebbe una linea più morbida: «A nostro giudizio», scrive in un rapporto dello stesso mese, «i fiaschi degli ultimi anni e le tensioni con la Cina, con i Paesi del Patto di Varsavia e con i partiti comunisti occidentali, l' italiano in testa, hanno portato e porteranno ancora a un notevole rilassamento nei rapporti Est- Ovest». Al principio di febbraio del ' 64, prima che trapelino le critiche del Politburo a Kruscev, la Cia confida ancora che egli resti a lungo in carica. «La sua posizione interna», rileva, «è forse più solida di un anno fa: all' inizio del ' 63 la sua autonomia venne limitata e dovette rinunciare ad alcuni progetti. Probabilmente si è rafforzato anche grazie alla malattia di Frol Kozlov, il fautore della linea dura». Ma il 19 marzo successivo, nel memorandum «La lotta di potere nell' Urss», la Cia cambia idea, giudica «non lontana una lotta di successione a Kruscev». I servizi segreti sottolineano tuttavia che Kruscev, che il 17 aprile compirà 70 anni, «non vuole andarsene, sebbene si sia indebolito». Un emissario di Johnson, il sovietologo Llewellyn Thompson, lo ribadisce in un rapporto in cui predice che la lotta di potere si svolgerà tra Breznev, Podgorni e Kossighin. Ma punta sul cavallo sbagliato: «A breve termine il favorito è Breznev, ma a lungo termine dovrebbe emergere Podgorni. Breznev non mi sembra un leader». Ad aprile Johnson, che non crede sia già incominciato per Kruscev il conto alla rovescia, decide di aiutarlo, anche perché lo considera un potenziale alleato nell' opera di contenimento della Cina, che si è procurata l' atomica. Dopotutto, Kruscev ha accettato un bando parziale degli esperimenti nucleari, cessato le proteste sulle missioni degli aerei spia Usa nei cieli comunisti, prospettato un dialogo con la Germania Ovest, segnalato che il Vietnam «è fuori dell' area degli interessi dell' Urss». Il presidente comunica al suo ambasciatore a Mosca, Foy Kohler, che dopo la propria rielezione a novembre - la ritiene quasi certa - incontrerà il leader sovietico, previe consultazioni con gli alleati. A quel punto è però la Cia a mettere in dubbio che Kruscev sia ancora un interlocutore valido: in un' analisi, evidenzia che la propaganda del Partito ne ha fatto «un eroe della seconda guerra mondiale, una figura benevola, un portatore di pace», ma che «i gerarchi e il pubblico non lo rispettano». Johnson non ascolta, scambia lettere con Kruscev discutendo di una modesta riduzione della produzione dell' uranio per le armi atomiche, e di una riduzione ancora più modesta delle forze convenzionali in Europa. L' estate del ' 64, con le convenzioni repubblicana e democratica in America, distoglie l' attenzione della Cia e della Casa Bianca dall' Urss. Pochi riflettono sul braccio di ferro che si verifica ad agosto al Cremlino, quando Kruscev annuncia che sottrarrà finanziamenti al complesso industriale militare sovietico per darli all' agricoltura e ai consumi. Solo alla fine di settembre, quando la «Pravda», il giornale del partito, censura il cruciale discorso di Kruscev in merito, a Washington si diffonde la sensazione che egli abbia le spalle al muro. Ma nemmeno quando Kruscev viene costretto dai colleghi a prendere qualche giorno di vacanza e a non ricevere visite, come riferisce Kohler ai primi di ottobre, qualcuno dà l' allarme. Il 15 di quel mese, la notizia delle dimissioni di Kruscev «per motivi di salute» è una bomba: Kruscev, svela Kohler, è ritornato a Mosca in aereo il 13 su convocazione del Presidium e ha partecipato alla riunione del Comitato centrale il 14 senza sapere che cosa lo aspettasse. Nel timore di un golpe stalinista al Cremlino, Johnson abbandona temporaneamente la campagna elettorale e convoca il gabinetto d' urgenza. Dobrinin interviene subito: gli assicura che la transizione è stata «unanime e armoniosa», al contrario di quanto previsto dalla Cia, e gli garantisce la continuità della politica estera sovietica. La nuova accoppiata Breznev-Kossighin, precisa, rappresenta il potere collegiale e vuole la distensione, come Kruscev. Le rassicurazioni risulteranno infondate. Johnson non incontrerà la nuova leadership - nella persona di Kossighin - fino al 1967, e ci sarà un fallimento. La caduta di Kruscev e le morti precedenti di Kennedy e Papa Giovanni XXIII, tre uomini che avrebbero potuto cambiare il mondo, si riveleranno irreparabili. L' immobilismo brezneviano, tuttavia, ritarderà, non spegnerà le riforme kruscioviane. All' interno dell' Urss, le realizzerà oltre vent' anni dopo, accentuandole, Mikhail Gorbaciov. E nel frattempo, i partiti comunisti occidentali affermeranno la propria indipendenza, anticipata nel ' 64 dal memorandum di Togliatti, e l' Est europeo allenterà il giogo sovietico. In un post mortem del 9 novembre 1964 la Cia spiegherà che cos' accadde il 13 e il 14 ottobre: «Suslov e i colleghi ripresero a criticare Kruscev, che minacciò di dimettersi. Gli fu detto di farlo per iscritto, come prescritto dal regolamento del Politburo. Incapace di combattere oltre, Kruscev si arrese». La Cia citerà un rapporto dei comunisti italiani dopo una visita a Mosca: «Il complotto contro Kruscev maturò nell' ultimo anno e fu un' operazione collettiva, non del solo Suslov, il custode della purezza del Partito. Il momento fu dettato dalle pressioni del leader polacco Gomulka perché l' Urss smettesse di flirtare con la Germania Ovest e dalla possibilità che Kruscev desse un ultimatum irrevocabile alla Cina. Non si mossero le forze armate né il Kgb, la polizia segreta». Johnson Lyndon Baines Johnson (nella foto) nacque nel 1908 e morì nel 1973. Dopo l' assassinio a Dallas del presidente John Kennedy, Johnson in qualità di suo vice gli succedette alla Casa Bianca. Democratico, proseguì il conflitto avviato in Vietnam e aumentò l' impegno degli Stati Uniti (la cosiddetta «escalation»). Kruscev Nikita Sergeevic Kruscev nacque nel 1894 e morì nel 1971. Divenne segretario generale del Pcus dal 1953 al ' 64, anno in cui fu estromesso. Nel 1956 denunciò i crimini di Stalin e, nello stesso anno, decise l' invasione dell' Ungheria. La sua teoria della «coesistenza pacifica» con l' Occidente provocò la rottura con la Cina (1963) dal nostro corrispondente

ENNIO CARETTO