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Il Forum di johnkennedy.it Il forum sull'assassinio di John Fitzgerald Kennedy

La banalità del male

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    Federico Ferrero
    Post: 747
    Registrato il: 17/11/2002
    Veterano
    00 04/12/2006 17:37
    Dimenticare la responsabilità Lee Harvey Oswald nell’assassinio Kennedy non è un problema di memoria, ma di concezione della storia. Di Lee Harvey Oswald ne sono nati tanti e tanti ancora ne nasceranno; il 43esimo anniversario dell’assassinio di uno degli uomini più influenti del pianeta, il presidente Kennedy, mostra (a chi lo vuol vedere) che gli accadimenti terreni sono anche guidati dalla sorte, dall’impulso, dalla casualità - come assenza di predestinazione, non come caos – senza che la volontà di controllo della società o delle singole persone possa intervenire.

    Il motivo per cui il mondo ha rifiutato in blocco la conclamata responsabilità di Oswald nell’uccisione di JFK (come l’avrebbe rifiutata per Sirhan e Bob Kennedy ma per un qualunque signor Smith che compie un assassinio politico) non è solo da ricercare nei gravi difetti delle inchieste che seguirono i fatti di Dallas quanto nella negazione delle possibilità del singolo di infilarsi nei meandri della storia: un uomo solo non può uccidere un capo di Stato senza mandanti perché troppa è la sproporzione tra il carnefice e la vittima. A vittima illustre deve fare da contraltare una grande mano assassina. “Non guardiamo il come, guardiamo il perché”: questa è la mentalità di chi avvicina la storia come un plastico in cui ogni pezzo è lì per precisi motivi, preordinati in anni risalenti, e ogni mossa comporta una contromossa. Un plastico in cui la vita reale non può entrare perché nella vita reale si fanno anche scelte casuali, a occhi chiusi, si muore di malattia, di incidente, si muore di assassinio coperto dallo Stato ma si muore anche per caso (se l’assassinio è una fatalità).

    Fino a pochi mesi prima dei fatti di Dallas la visita di Kennedy non esisteva, non era programmata; fino a pochi giorni prima non si era ancora deciso il programma della visita, compreso il passaggio in corteo in Elm Street. Uno dei tanti particolari che dovrebbe fare “suonare la campanella” del distacco tra macchinazioni virtuali e realtà ma che invece viene superata, così come tutte le obiezioni, dal dogma della Grande Mano che manovra il mondo, dal tettuccio dell’auto presidenziale messo giù per volere di JFK per le condizioni meteo improvvisamente migliorate (il Grande Vecchio guida anche le nubi…) al pollo di Bonnie Ray Williams, che fosse stato un po’ più grosso, avrebbe forse impedito a Lee Oswald di fare fuoco con il suo fucile dal suo posto di lavoro, al sesto piano di un deposito di libri scolastici.

    È una storia squallida, un infame che toglie la vita a un grande: l’avessero ucciso in dieci, con in mezzo Castro, Hoover e Johnson, la sua morte sarebbe stata in qualche modo accettata. E invece no, la morte di Kennedy è senza senso proprio perché non ha un vero perché, come non hanno un perché la bomba in discoteca a Bali o gli spari nella schiena a John Lennon o il mitomane che uccide la gente per strada per sfizio. Perché sotto gli occhi di tutti è passato almeno una volta un grande uomo che, volendo, avremmo potuto uccidere. Perché è la vita.
    Federico Ferrero
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    !presidente!
    Post: 312
    Registrato il: 27/05/2005
    Frequentatore
    00 04/12/2006 18:47
    L'intervento del caso, nei fatti della vita, c'è sempre stato e sempre ci sarà. Negli omicidi politici non è sempre vero in senso assoluto, ma a quanto pare nel caso JFK è andata così.
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    Diego Verdegiglio
    Post: 1.207
    Registrato il: 18/11/2002
    Veterano
    00 04/01/2007 01:31
    Cosa c'era nelle menti di Oswald e di Ruby?
    Dal volume di Dale Carnegie "How to Win Friends and Influence People", N.Y.,1936-1981 (in Italia: RCS Libri,1994-2005), pp.27-31: "Il 7 maggio 1931 la più sensazionale caccia all'uomo mai svoltasi a New York era giunta al culmine. Dopo settimane di ricerche Crowley 'Two Guns', il famoso assassino che non fumava e non beveva, era con le spalle al muro, intrappolato dalla polizia nell'appartamento della sua amante in West End Avenue... Quando Crowley fu catturato, il capo della polizia E.P. Mulrooney dichiarò che 'Two Guns' era uno dei più pericolosi assassini della storia di New York... Non molto tempo prima, Crowley stava sbaciucchiando in macchina la sua ragazza, in una strada di campagna dalle parti di Long Island, quando un agente si avvicinò e gli chiese la patente. Senza dire una parola, 'Two Guns' tirò fuori la pistola e lo fece secco. Poi scese dalla macchina, prese il revolver dell'agente e per maggiore sicurezza gli scaricò addosso anche quello... Ma Crowley, indipendentemente dalle dichiarazioni altrui, che idea aveva di se stesso? Possiamo saperlo da una lettera che scrisse mentre era assediato nell'appartamento della sua ragazza... 'Sotto questi miei panni batte un cuore stanco ma gentile, che non farebbe male a una mosca'... Arrivato al braccio della morte di Sing Sing, non disse affatto qualcosa del tipo 'In fondo è la giusta punizione per i miei crimini'. Macché. Dichiarò invece: 'Questa è la ricompensa perché mi sono difeso!'.Morale della favola: 'Two Guns' era convinto di essere nel giusto. E' un atteggiamento diffuso fra i peggiori criminali. Se avete qualche dubbio, leggete questa frase: 'Ho speso i migliori anni della mia vita a procurare ai miei simili i migliori divertimenti, per aiutarli a vivere meglio, e la ricompensa è stata la calunnia e tutta un'esistenza da braccato'. E' Al Capone che parla. Esatto. Il 'nemico pubblico' più famoso d'America, il più famigerato gangster di Chicago. Ma anche Al Capone non si sentiva affatto in colpa, anzi, si considerava una specie di pubblico benefattore incompreso e calunniato. Anche Dutch Schultz, prima di cadere sotto i colpi di una banda rivale a Newark, intervistato da un giornalista, si definì 'un benefattore dell'umanità'. E lo credeva sul serio.A proposito di questo argomento, ho avuto un interessante scambio epistolare con Lewis Lawes, per molti anni direttore del famigerato carcere di Sing Sing: 'Pochi criminali a Sing Sing si considerano tali - disse Lawes - Hanno tutti più o meno, dal punto di vista umano, gli stessi comportamenti che potrei avere io, o lei. Così cercano di razionalizzare la loro devianza. Vi spiegano magari che hanno dovuto scassinare una cassaforte o borseggiare la gente per questo o quel motivo. Accampano ragionamenti più o meno logici per esplicare il loro comportamento antisociale, e alla fine si convincono che mai e poi mai avremmo dovuto chiuderli in prigione per quello che hanno fatto'.
    Diego Verdegiglio
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    !presidente!
    Post: 320
    Registrato il: 27/05/2005
    Frequentatore
    00 04/01/2007 12:24
    in effetti le menti dei 2 protagonisti dei fatti di Dallas sono da esplorare, anche se si è già capito il xchè abbiano agito. I collegamenti con le agenzie di intelligence sono un argomento stuzzicante, ma non so quanti ne emergeranno in futuro.