Ho conosciuto Mark Lane durante il festival cinematografico Noir in Festival a Viareggio, il 23 giugno 1992. Ero stato invitato, tramite Giorgio Gosetti, Marina Fabbri e Irene Bignardi, alla presentazione di un film di Emile De Antonio e Mark Lane sul caso J.F.K: per dibattere pubblicamente le mie tesi. La mia controparte italiana era il giornalista Natalino Bruzzone del Secolo XIX di Genova. Nel pomeriggio Marina Fabbri e Daniela Brancati (allora direttrice del telegiornale Videomusic) mi presentarano Lane, accompagnato da sua moglie. Il suo atteggiamento era elegantemente arrogante, ironico e fintamente cordiale. Gli esposi quali erano le mie idee. Mi guardò con un sorrisetto di sufficienza dicendomi: "Dovevo attraversare l ' Atlantico per trovare proprio in Europa uno che dà ragione alla Commissione Warren!". Come inizio non prometteva niente di buono. Il dibattito, con traduzione simultanea, fu introdotto da Gianluigi Melèga, che mi dette la parola. Esposi i vari punti che mi sembravano importanti per confermare la tesi dell ' assassino solitario: Mark Lane mi guardava sornione, pronto ad entrare in scena. Quando fu il suo turno, si alzò maestosamente e iniziò un discorso dai toni ispirati su Warren costretto da Johnson a smorzare l ' angoscia dell ' America sconvolta dall ' assassinio con la tesi di Oswald unico killer. Si vedeva bene che, da vecchia volpe qual ' è, conosceva bene i tasti da suonare in pubblico, dopo trent ' anni passati fra glorie ed emolumenti derivati dalle conferenze sul Presidente ucciso. Se non fosse intervenuto Melèga, non avrei riavuto più la parola: era difficile fermarlo. Mi alzai, mostrai le foto dell ' autopsia di Kennedy in mio possesso, parlai del fucile portato da Oswald nel deposito. Naturalmente, per Lane, le foto erano contraffatte e Oswald aveva con sé un pacco troppo piccolo per contenere quel fucile. Affrontai il discorso sul dottor Crenshaw, il medico dell ' ospedale di Dallas che, dopo trent ' anni ha stampato un volume di memorie (presentato in Italia in una trasmissione di Mino D ' Amato) nel quale si è dato il ruolo, non confermato da nessuno degli altri presenti, di primo attore nei soccorsi a Kennedy morente. Addirittura, quello di unico interlocutore telefonico del presidente Johnson, durante i tentativi di salvare la vita a Lee Oswald ferito mortalmente da Ruby. Le mie critiche alla vanagloria di Crenshaw (che nel 1963 era solo un dottorino praticante: al massimo gli avranno concesso di dare una mano e di sostare nella sala chirurgica dove i dieci primari più importanti dell ' ospedale erano riuniti per tentare di salvare la vita dell ' uomo più importante del mondo) non piacquero a Lane. Quando riprese la parola, lodò moltissimo "la serietà, la buona fede e la professionalità del dottor Crenshaw". L ' atteggiamento di Lane mi sconcertava. Gli astanti seguivano con attenzione le sue fole, dette con grande importanza. La sua diabolica abilità nell ' articolare gli argomenti a suo favore era qualcosa che lasciava strabiliati.. Ha un potere di convincimento quasi ipnotico che riuscirebbe a vendere i classici frigoriferi agli altrettanto classici Eschimesi. Condivido pienamente quanto ha scritto di lui Oriana Fallaci: "E' un uomo alto, asciutto, dal sorriso ironico e gli occhi mobili, intelligentissimi. Parla autoritario, veloce, col tono di chi è ciecamente sicuro di sé e di quello che dice. Una grandine di parole, ragionamenti, concetti, insinuazioni, mai senza logica, e che ti lasciano stordito e talora quasi convinto". Al termine del dibattito, dopo le foto ricordo, gli chiesi ancora, informalmente, del dottor Crenshaw. Prendendomi alla sprovvista, mi rispose deciso: "E' una persona importante, Crenshaw! Non l ' aveva mai sentito prima? Possibile? Eppure è citato ben nove volte nel Rapporto Warren!". Lì per lì, non replicai. Non ricordavo di aver letto mai il nome di Crenshaw nell ' elenco dei medici citati dal Rapporto, ma la sicurezza con cui Lane parlava m ' impedì di addentrarmi nell ' argomento, non essendo certo di quanto avrei potuto controbattere. Tornato a Roma, andai a controllare nell ' indice del Rapporto e anche in quello dei ventisei volumi allegati. Finalmente seppi cosa pensare di Lane: il nome di Crenshaw non era citato neanche una volta nell ' indice dei dottori interrogati dalla Commissione o dallo staff legale. Nell ' elenco dei testimoni vi erano le deposizioni perfino degli infermieri e dei portantini, ma Crenshaw non era stato chiamato a deporre. Il suo nome si rintraccia solo qua e là, nelle risposte di altri medici e paramedici che lo nominano. Del resto, leggendo ciò che Lane dice e fa, si può avere un ' idea del suo modus operandi: è per me la tipica persona dalla quale, come dicono in America, non comprerei mai un ' auto usata, anche se sono certo che riuscirebbe a venderla con grande convinzione a qualcun altro.
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Gino Gullace Raugei, ha scritto molti articoli su Kennedy e sulla sua morte: tra gli ultimi un ' intervista al discusso e discutibile dottor Charles Crenshaw (Gullace scrive erroneamente più volte Creshaw, e David Sliton invece di David Lifton), al quale ho già accennato (v. p. 168). Gullace ne esalta l ' attendibilità e la serietà, ma a mio avviso la cialtroneria di Crenshaw è ancora più detestabile di quella di Penn Jones, dato che egli, seppure in un ruolo molto marginale, è stato davvero testimone oculare delle inutili cure impartite al Presidente dopo la sparatoria. Gullace, nonostante decine di primari, medici e paramedici di Dallas abbiano rilasciato dettagliate e lunghe testimonianze agli organi inquirenti (che non ritennero Crenshaw importante al punto da raccogliere la sua), scrive che "è facile immaginare come le dichiarazioni del dottor Creshaw [sic], il primo vero, grande testimone oculare della faccenda, abbiano sconvolto la coscienza nazionale americana". Scrive Gerald Posner: "Gli altri medici affermano che Crenshaw arrivò tardi nella stanza e fu presente soltanto per pochi minuti verso la fine. Perciò non è in grado di affermare ciò che scrive nel suo libro. Ebbe un ruolo di secondaria importanza, tanto che la maggior parte degli altri medici non lo ricordano neppure. Il dottor Perry disse: Quando lo vidi in tv promuovere il libro, la mia ira si scatenò. Deve sapere che ciò che ha detto è falso ed egli sa che tutti noi lo sappiamo. Dovete avere compassione per lui. Che modo di finire la sua carriera. La sua storia è piena di mezze verità e di insinuazioni . Chi lo conosce sa che è disperato. Fa una figura penosa... Charles sostiene che tutti i suoi colleghi fanno parte di una cospirazione del silenzio e che egli parla solo oggi, dopo ventinove anni, perché aveva paura per la sua carriera. Beh, se veramente era in possesso delle informazioni clamorose che millanta, il fatto di averle tenute nascoste tutto questo tempo è esecrabile".
Un medico di Dallas che conosce bene Crenshaw ha confidato a Posner: "Se qualcuno è in sua compagnia, inizia a confabulare di complotti, di cospirazioni e roba del genere. Non abbiamo a che fare con un individuo normale. Ha avuto un ictus e non può più operare. Penso che ormai sia alla fine". Alcuni medici che hanno realmente operato Kennedy morente a Dallas (i dottori Perry, Jenkins, Baxter, McClenland, Carrico) hanno espresso opinioni estremamente critiche sulle dichiarazioni del loro ex - collega. La presentazione di Mino D ' Amato su Retequattro è stata invece: "Il dottor Crenshaw è un uomo, un professionista che ama il suo lavoro. Non conta sul bestseller per cambiare la sua vita, non ricerca lo scoop alla fine della sua carriera. Ha avuto anche paura prima di rompere il giuramento di non rivelare quanto aveva visto quel giorno". Non conosco personalmente D ' Amato, che è libero di credere a quello che l ' anziano e ieratico medico americano gli ha raccontato in diretta. Io suppongo, più prosaicamente, che questa "rivelazione" fosse destinata ad aumentare l ' ascolto del programma. Non voglio credere che siano prevalse solo le esigenze dello scoop giornalistico, ma D ' Amato descrive Crenshaw al contrario di quello che risulta a me: l ' azione meschina di questo chirurgo non può che essere un tardivo gesto di rivalsa nei confronti dei suoi colleghi e della Commissione Warren per averlo ignorato durante le indagini sull ' attentato.
Si veda anche la nota 409 del mio libro, p. 515, che riporta le seguenti fonti:
TIME, 13 apr. 1992, p. 60; LA REPUBBLICA, 3 apr. 1992, p. 15 (Ennio Caretto); OGGI, n. 17, 20 apr. 1992, pp. 90-95 (Gino Gullace Raugei); "JFK Death: The Plain Truth from MDs Who Did the Autopsy", Journal of American Medical Association (JAMA), Vol. 267, n. 20, 27 maggio 1992, pp. 2804-2805 (D.L. Breo intervista i medici che operarono Kennedy e non videro il Dr. Crenshaw nella sala d'emergenza).